Una zattera verde, un bosco galleggiante sul mare delle risaie circostanti. É il Bosco della Partecipanza, una foresta che è giunta fino ai nostri giorni grazie alle rigide regole di gestione dei tagli rispettate sin dal 1275, quando l'area venne assegnata in comune proprietà (la "partecipanza", appunto) ai cittadini di Trino.
Il grande Bosco (600 ettari circa) , è l'ultimo residuo di bosco planeziale del basso Vercellese.
L'estesa foresta, di cui esso è il brandello prezioso, ancora all'inizio del III secolo andava da Crescentino a Costanzana e subì le più varie azioni antropiche: dall'agricoltura e pastorizia nomade dei Liguri (incendio e successiva coltura di zone forestali in seguito abbandonate); allo sfruttamento su larga scala da parte della colonizzazione romana a scopo di bonifiche e per uso del legname da costruzione e per fonderie; alla lenta riduzione a coltura operata dalle comunità agricole monastiche (grange) soggette all'Abbazia di Lucedio (dal secolo XII), a cui tenne dietro l'intervento agricolo signorile (dal XV secolo), in conseguenza della sistemazione idrografica e della diffusione della risicoltura.
Quest'ultima corrose, via via, lembi di foresta e serrò sempre più da vicino il Bosco delle Sorti, fino a farlo apparire quale è oggi: quasi una zattera galleggiante sul mare delle risaie.
I motivi per il quale il Bosco delle Sorti sopravvisse alla secolare pressione esercitata dai molteplici interessi umani sono almeno due: il primo, quello che lo salvaguardò dal pragmatismo romano, consiste nel fatto che la Selva era parte del "Lucus Dei" cioè del bosco sacro alla divinità, probabilmente Apollo, e come tale protetta a fine di culto; il secondo, valido sicuramente a partire dal XIII secolo, quando si costituì di fatto la Partecipanza, cioè quell'insieme di persone divenute proprietarie per concessione marchionale del 1275.
La comunanza di interessi e l'amministrazione collettiva furono sufficienti a tutelarla dalla speculazione agricola che segnò la fine di tutta la vasta area boschiva del basso Vercellese. Così soltanto due furono i dissodamenti che vennero operati nel Bosco delle Sorti: uno venne attuato nel 1593 per 450 moggia (ha 157) trasformati in campi e vigne; l'altro nel 1868 per 14 ha, poi ridotti a risaia.
In seguito anche i velleitari socialisti trinesi del primo Novecento, pur considerando la Partecipanza "una società per eccellenza collettivista" e addirittura "un esempio concreto di Comunismo" non mancarono di sottolinearne l'anacronismo colturale. Proporranno perciò, a parità di fatica, di realizzare "un sogno che sarà la realtà di domani: la messa a coltivazione delle seimila giornate di terreno dalla Partecipanza" . In tempi più recenti (1955), quando si trasformerà in pioppeto un'altra minuscola parte del Bosco, il concetto della "trasformazione generale in coltivo della massima parte della Selva" verrà assunto come indirizzo programmatico di gestione. Entrambi i tentativi, peraltro mai approvati dei soci, non saranno concretizzati.
IL GOVERNO TRADIZIONALE DEL BOSCO La fruizione del Bosco da parte dei soci-partecipanti è regolato oggi come lo era nei secoli passati. Ogni anno una zona ("presa") di Bosco viene messa in turno di taglio e suddivisa in un determinato numero di aree minori dette "sorti" o "punti". Ciascun "punto" è poi diviso in quattro parti, da qui il nome di "quartaruoli". Ad ogni punto è assegnato un numero ed i Partecipanti sono chiamati annualmente, nel mese di novembre, ad estrarre la sorte uno dei "punti".
La sorte deciderà in quale zona ciascun socio avrà diritto di abbattere uno o due "quartaruoli" di ceduo. Per questo il Bosco è detto "delle Sorti". Per incrementare la fustaia il socio deve salvaguardare nel corso delle operazioni di esbosco un numero di "quinte" che oscilla tre le 12 e le 8 per "punto".
Accanto a tale tipo di fruizione soggetta a una plurisecolare normativa, il lavoro nel Bosco era, un tempo, cadenzato da un ritmo stagionale che da gennaio a dicembre (agosto escluso) impegnava molti Partecipanti in svariate attività: provviste di "tortie" cioè piantine di taglio di almeno tre anni necessarie per la legature delle fascine (circa 25.000 all'anno); taglio delle capitozze, scalvo di piante per la manifattura di fascine e bastoni; riempimento buche (tampe) lasciate dalle querce estirpate e recupero delle radici delle stesse; pulizia del sottobosco dai biancospini detti "bossoloni"; taglio dell'erba in varie prese; lavori per la predisposizione della presa in turno di taglio; abbattimento dell'alto fusto (mediamente 350 querce all'anno con punte che negli anni '30 e '40 del secolo scorso sfioravano gli 800 esemplari). A partire dagli anni '50 quest'ultimo è stata la fonte primaria di reddito per la Partecipanza, sostituita specie negli anni '70 e '80, dai lotti di ceduo, quando l'alto fusto non era disponibile per carenza o divieto legislativo. Ciò ha evidenziato ancor più il latente squilibrio dell'ecosistema boschivo a danno, sopratutto, delle querce, che presentavano una distribuzione diametrica a piramidale rovesciata, all'opposto della normalità colturale (per esempio le piante fino a 15 cm. di diametro erano in minor numero rispetto alle classi più alte). Ma proprio in quegli anni (1977) la Partecipanza, colpevolmente, non seppe cogliere l'urgenza dell'istituzione del Parco che tutelasse i diritti dei soci e insieme salvaguardasse la rilevanza naturalistica di un bosco importante per l'intera collettività piemontese.
IL GOVERNO DEL BOSCO DOPO L'ISTITUZIONE DEL PARCO
La L.R. 19 agosto 1991, n. 38, prorogata con l'altra L.R. 7 agosto 2006, n. 29, ed i piani di assestamento forestale che le hanno seguite mirano al riequilibrio del bosco planeziale, coniugando la funzione naturalistica, paesaggistica, didattica e scientifica con la continuità della tradizione della Partecipanza, depurata, quest'ultima, dal risvolto speculativo a cui si accennava nel paragrafo precedente che è stato una delle cause determinanti dell'involuzione dell'ecosistema. L'obbiettivo a lungo termine è quello di riportare il Bosco a ritrovare la sua identità planeziale (un cammino da misurare a decenni), applicando un metodo colturale flessibile, atto a gestire una realtà tipica quale è quella del Bosco delle Sorti. Esso prevede indirizzi gestionali per la robinia